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La critica
La mostra che Benito Cirelli presenta, se da un lato esprime il Cirelli conosciuto, dall’altro presenta l’artista sostanzialmente inedito, lo sperimentatore che anziché rimanere acquattato all’interno della propria consolidata e rassicurante produzione, affronta un nuovo dato espressivo.
Buona parte della rassegna è riservata infatti ad una serie di opere in cui la tridimensionalità segna una svolta importante nel fare artistico di Cirelli.
Eravamo stati facili profeti quando, chiudendo la presentazione della mostra di Mantova, avevamo indicato in quella perigliosa commistione tra pittura e scultura la futura tappa dell’iter produttivo di Cirelli. Ed ancora più oltre vogliamo spingerci nel difficile percorso della previsione pronosticando a Cirelli che la sua ricerca non potrà non condurre alla espressione plastica pura: vale a dire alla scultura.
Questa della pitto-scultura, ci pare infatti una necessaria fase di passaggio che tra non molto dovrà sfociare nella plastica definizione della forma in relazione allo spazio. Ci sentiamo di fare questa affermazione non tanto e solo per ragioni emotive (Cirelli ha avuto da giovane una significativa e misconosciuta esperienza scultorea) ma soprattutto per riscontri, a nostro avviso, oggettivi. Nella considerevole quantità di opere dipinte, giocate sull’iterazione della cifra, con notevoli implicazioni ottiche, o nella apparente “accidentalità” dei giochi cromatici, domina tuttavia una nota di rigore, di ordinazione dello spazio che si consolida, talvolta, in opere più decisamente concluse, al limite dell’astrattismo geometrico.
C’è già, quindi, in Cirelli la necessità della definizione, della esattezza, della precisione. Un rigore formale che trova la sua celebrazione nella serie di pitto-sculture che sono qui esposte per la prima volta.
Importante ed esemplare, come anello di passaggio, ci pare, a tal proposito l’opera “Oltre il buco” definita dallo stesso Cirelli già scultura, ma nella quale è ancora prevalente la componente pittorica che è spinta solamente attraverso l’artificio dell’aggetto della campitura, ad affermare la tridimensionalità. Da quest’opera inizia consapevolmente l’inserimento di elementi rilevanti e rilevanti nell’architettura generale della composizione. Lo spazio è riquadrato in modo netto, quasi perentorio ed irrevocabile, da aste di metallo inox che seppur ancora avvolte dal colore lasciano presagire un futuro abbandono del pigmento. Abbandono che si delinea già nelle piccole opere dove su fondo monocromo generalmente nero, vengono inseriti, con raffinata eleganza, elementi di contrasto in legno naturale o, ancora una volta, in inox satinato o traslucido.
Scompare il ventaglio cromatico, mentre si afferma sempre più la forma erompente. Sicuro presagio questo di una non lontana scomparsa del rassicurante supporto e di una prossima enucleazione dell’oggetto, divenuto soggetto spaziale di se stesso.
Credo anche che in un futuro cronologicamente indefinito ma, per noi, certo, le forme scolpite di Cirelli finiranno per perdere l’accattivante ed ingannevole fascino del pigmento per ricondursi ad un algido contrasto bicromatico giocato sull’essenziale dialogo-conflitto del bianco e nero.
Il rigore e l’elegante misura di Cirelli depongono in tal senso.
Prof. Gilberto Cavicchioli